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I Doni Della Morte Seconda



Una piccola premessa prima di iniziare: non abbiamo visto il film (naturalmente) in maniera illegale e, tantomeno, abbiamo infranto l'NDA italiano, dato che chi scrive non ha partecipato neppure alle anteprime milanesi e romane che si stanno tenendo in questi giorni. Vi basti sapere che l'abbiamo visto al cinema e in 3D, nel migliore dei modi possibili. Questa recensione, dunque, non è un fake e, con un certo orgoglio, possiamo dire che è la prima che potete leggere in lingua italiana.L'uso dello pseudonimo è un vezzo che ci concediamo, per cui prendetelo per quello che è: non riveleremo ne il nome di chi ha scritto la review ne le modalità con cui abbiamo potuto vedere il film.Ma andiamo a incominciare.Attenzione agli eventuali spoiler presenti!It all ends.Harry avanza nella sale di una Hogwarts irriconoscibile, distrutta, quasi bombardata. Tra le mani stringe una bacchetta non sua e intorno a lui giace solo la disperazione, fredda, buia come il viso ormai spento di chi s'è sacrificato perché Voldemort non trionfasse. I suoi occhi non sono più quelli di dieci anni fa, no, decisamente no. L'undicenne che entrava ad Hogwarts ormai ha lasciato il posto a un giovane stanco, ferito nel corpo e nell'anima, che in poco tempo ha incontrato troppe volte il destino. Tuttavia non c'è pessimismo nel suo sguardo; anzi, c'è una determinazione nuova: quella di chi sa bene quale sia il suo ruolo nel mondo e si sente pronto a caricarsene il peso sulle spalle.Qual è la grandezza della saga di Harry Potter? In cosa questa epopea si distingue dalla pletora di epigoni che negli ultimi anni hanno affollato librerie e cinema? Cosa rende l'opera della Rowling così capace di risvegliare nel pubblico emozioni talmente profonde da far stare delle persone per giorni sotto la pioggia con la sola speranza di cogliere, in un modo o nell'altro, uno sbuffo di magia?La risposta a tutte queste domande è nello sguardo di Harry e nel modo in cui questo sguardo è cambiato dal 2001 in avanti; anzi, il termine esatto è "cresciuto". Si, Harry è cresciuto e insieme a lui sono cresciuti milioni di appassionati che, mentre le loro vite cambiavano, hanno trovato nelle avventure dei tre maghetti una straordinaria lente per capire meglio ciò che accadeva intorno a loro; le nuove sensazioni, il cambiamento nelle relazioni interpresonali, i grattacapi scolastici e quelli sentimentali. Con Harry Potter il cinema (e la letteratura) "per ragazzi" ha smesso di essere una fuga dal mondo, ma è diventata una chiave per accompagnare la persona dall'infanzia fino alla prima giovinezza. Non è azzardato dire che almeno due generazioni (forse anche tre) sono cresciute insieme a Harry, Ron ed Hermione, e sono proprio queste due generazioni a rappresentare oggi il futuro prossimo della società. Dieci anni fa cominciavano i primi anni di scuola, oggi - dieci anni dopo - sono pronti a uscire allo scoperto, lasciando non solo metaforicamente le tranquillizzanti aule per un mondo spesso crudele e privo di scrupoli. In questa seconda parte di Harry Potter e i doni della morte, i protagonisti sono costretti a vivere "fisicamente" il trauma del passaggio all'età adulta, guardando impotenti alla distruzione del posto che per anni aveva rappresentato la loro unica casa: quella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tanto imponente e misteriosa nei primi film diventa un immenso campo di battaglia e mette a nudo tutte le sue debolezze; le torri crollano, le sale - un tempo austere e silenziose - si riempiono di polvere e sudore, mentre addirittura i professori sembrano arretrare davanti all'avanzata di un male tanto oscuro quanto incomprensibile, mosso solo dalla volontà di sottomettere tutto e tutti.Volendo fare della psicologia spicciola potremmo quasi dire che l'intera saga di Harry Potter rappresenta una sorta di psicodramma collettivo (con annesse sedute di autocoscienza) per chi, come noi, ha sempre guardato con una certa repulsione all'idea di dover rinunciare a quanto può esserci di magico o inatteso nel mondo in cui viviamo. Ma in realtà questo film in particolare riesce nel compito più difficile ovvero accompagnare delicatamente il pubblico verso un epilogo, scontato certo, ma non voluto. Disperatamente non voluto. Per quanto atteso, infatti, lo showdown finale, quello che non ti lascia nessuna domanda inespressa, è sempre il meno desiderato. Tutto sommato la tensione data dalla storia che si interrompe è ben poca cosa rispetto alla consapevolezza che "It all ends", tutto finise qui. Senza possibilità di appello."E qualcosa rimane,fra le pagine chiare e le pagine scure,e cancello il tuo nome dalla mia facciata..."de Gregori, RimmelSi, qualcosa rimane, qualcosa di più profondo delle mere considerazioni cinematografiche (che ci riserviamo di fare con la review che vedrete lunedì), rimane la consapevolezza di aver vissuto uno dei momenti più alti della storia della Settima Arte: una grande saga che in dieci lunghissimi anni non ha saputo perdere se stessa, siglando una specie di tacito patto con gli appassionati. Un patto di fiducia (cosa che le major, con i tempi che corrono, fanno sempre meno). Warner Bros ha accettato l'idea che film e pubblico potessero crescere insieme, proponendoci una Pietra Filosofale tutta giocata sulle immagini straordinarie di Chris Columbus e un Doni della Morte in toni di grigio, dove David Yates, in questo davvero molto bravo, ha saputo tenere la barra dritta anche quando lo scivolone era dietro l'angolo, o la tentazione di edulcorare le cose poteva farsi strada. Questa conclusione non concede niente allo spettatore e pretende un'attenzione quasi certosina per seguire le complesse vicende di Voldemort, della bacchetta di sanbuco e della battaglia per Hogwarts, ma, allo stesso tempo, ci ricompensa regalandoci alcune delle scene più struggenti dell'intera saga, come la morte di Piton, flagellato dai morsi di Nagini con il suo sangue che sbatte sul vetro facendo lo stesso rumore di un colpo di pistola, o lo straordinario Lucius Malfoy di Jason Isaacs, quasi shakespeariano nel suo tracollo dalla boria alla disperazione, fino alla follia. Oppure ancora Maggie Smith con la sua Minerva McGranitt che, ormai vecchia e stanca, in un ultimo afflato di energia libera Hogwarts dalla tirannia dei Mangiamorte.Tuttavia questo film è più un'opera corale, sul modello delle tragedie greche classiche, in cui, attorno ai due personaggi principali, ogni personaggio tenta a modo suo di sopravvivere alla giornata; ed è proprio la grandezza degli eventi a schiacciare sotto il suo peso Harry, Ron e gli altri; anche lo stesso protagonista, per la prima volta, si sente non solo spaventato a morte, ma anche in balia di forze che non può o non sa controllare. Addirittura una figura come quella di Silente rivela una componente oscura: il Preside sapeva da sempre che lo scontro finale avrebbe visto la morte di entrambi i contendenti e, per usare le parole di Piton, ha usato "il ragazzo come un maiale da macello". Insomma, Harry non è un eroe tipico, il deus ex machina che risolve la situazione: è solo una mera pedina che si muove in un disegno più ampio, finalizzato alla sconfitta di Voldemort e alla liberazione del mondo magico. Harry siamo tutti noi: il personaggio racchiude in se la forza straordinaria di chi con le sue scelte sa di poter cambiare le cose, ma vive di continue debolezze e indecisioni. E allo stesso modo Ron e Hermione sono tutte le coppie che, attraverso la loro travagliata storia d'amore (che finalmente avrà il sigillo che merita) scoprono insieme quanto sia difficile costruire un rapporto capace di funzionare; sbagliando forse, ma senza mai arrendersi.L'ottavo film di Harry Potter non si può valutare dimenticando tutti questi argomenti, dimenticando la sua storia, dimenticando la passione che ha animato fan e cast nel corso di questo decennio. Per questo motivo chi scrive ha davvero grosse difficoltà a spiegarvi perché I Doni della Morte sia un film necessario. Necessario perché risponde a un bisogno dell'anima, chiude un ciclo generazionale che - spiace dirlo - sarà comprensibile appieno solo a chi ha vissuto da adolescente i primi anni duemila. Necessario perché figlio del suo tempo, così bisognoso di eroi ma capace di esprimere l'eroismo anche attraverso gli atti più semplici. Necessario perché il cinema vive della materia di cui sono fatti i sogni. Necessario perché tutti abbiamo bisogno della fantasia. Necessario perché, forse, chi scrive - anche in questa bella serata di Luglio - la finestra la tiene ancora aperta.Non sia mai che la civetta si presentasse con qualche anno di ritardo.


La frase che segna la chiusura del romanzo scritto da J. K. Rowling è ormai storia della letteratura per ragazzi. Anche la scena del film ha un aneddoto alle spalle. Ambientata diciannove anni dopo la sconfitta di Voldemort, con i protagonisti ormai 37enni, fu girata due volte. La prima il 12 giugno 2010, data ufficiale della fine delle riprese, mentre la seconda a dicembre. Pare infatti che il make up esagerato sui volti di Radcliffe, Grint e Watson non fosse piaciuto al regista e al produttore David Heyman, tanto da richiederne una nuova versione. Dire addio è difficile per tutti.




i doni della morte seconda


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